Storia
Una storia lunga 9000 anni
Viene da lontano
ed ha una storia
antichissima
Il peperoncino viene da lontano ed ha una storia antichissima. Da Montezuma a Colombo il peperoncino è un elemento importante in tutte le civiltà precolombiane Olmeca, Tolteca, Azteca, Inca e Maya. Testimonianze della sua esistenza ci sono nel Messico e nel Perù. Reperti archeologici a Tehuacan in Messico e a Giutarrero in Perù testimoniano che il peperoncino era usato già 9.000 anni fà e veniva coltivato già 5.000 anni prima di Cristo. Il peperoncino è protagonista in tutte le civiltà precolombiane. Presso gli Aztechi, i Maya e gli Inca è una pianta ritenuta sacra e usata anche come moneta di scambio. Le testimonianze più interessanti sono l’obelisco di Tello (800-1.000 d.C.), così chiamato dal nome del suo scopritore. E’ una stele di circa 2 metri sulla quale c’è la rappresentazione di un drago mitologico che nella mascella, in basso a destra, stringe fiori, foglie e quattro frutti di peperoncino (a sinistra il disegno con la ricostruzione della rappresentazione). I ricami di Nazca (400-600 d.C.) sono su una stoffa di cotone, fatti con fili di lana. Rappresentano la figura di un contadino che ha altri due appesi al collo come collana. Le testimonianze più affascinanti vengono da Cerèn, un villaggio Maya nell’America centrale, distrutto nel 595 d.C. dalla eruzione del vulcano Loma Caldera. Il villaggio, oggi patrimonio dell’UNESCO è diventato una sorta di “Pompei delle Americhe” che, sepolte sotto la cenere, ci ha conservato le testimonianze di una vita quotidiana in cui il peperoncino era protagonista. In tutti questi millenni, il peperoncino è stato utilizzato come frutto sacro, come medicina, come afrodisiaco, come strumento di magia e di tortura e come grande insaporitore. Abbinato ai fagioli, ma anche al cioccolato.
In Europa
l’ha portato
Cristoforo Colombo
Sulle caravelle di Colombo
In Europa il peperoncino è arrivato con Cristoforo Colombo (nella foto) e la scoperta dell’America. Il navigatore genovese lo conosce durante il suo primo viaggio e ne parla, per la prima volta, in una relazione di viaggio datata 15 gennaio 1493. Era arrivato a Espaniola, la moderna Haiti e scrive testualmente: “Vi era in abbondanza pure axi che è il loro pepe, di qualità che molto sopravanza quella del pepe e non v’è chi mangi senza di esso che reputano assai curativo”.
Bartolomè de
Las Casas ci fa
sapere che all’inizio
del ‘500 le
coltivazioni di
peperoncino sono
diffuse in Europa
L’arrivo in Spagna
Nel secondo viaggio nel 1494 i collaboratori di Colombo, con alla testa il medico di bordo Diego Alvarez Chanca, avviano la coltivazione e portano il peperoncino ai Reali di Spagna. Sessanta anni dopo è diffuso in tutta la Spagna come testimoniano gli scritti di Bartolomè de Las Casas (nella foto) che risalgono al 1552. Dalla Spagna si diffonde in tutto il vecchio continente e anche in Italia. Tanto che nel 1568 il botanico italiano Pier Andrea Mattioli ne dà una precisa descrizione nei suoi scritti chiamandolo però erroneamente pepe d’India.
Il gesuita
Josè de Acosta
definisce il peperoncino
“suscitatore di insani propositi”
Il fallimento di un business
Cristoforo Colombo, i suoi collaboratori e i Reali di Spagna erano convinti di aver messo le mani su un grosso business. Il peperoncino però tradì ogni aspettativa di facili guadagni. Business non ce ne fu per tre motivi. Perché non fu gradito ai ricchi e ai nobili, che non ne apprezzarono il sapore piccante. Perché la facilità di coltivazione della pianta, che attecchisce anche in un vaso, eliminò la necessità dei viaggi e del commercio con la terra di origine. Ed infine il giudizio negativo della Chiesa che lo bollò come “suscitatore di insani propositi” col gesuita Josè de Acosta (nella foto).
Tanti nomi, prima
di arrivare a peperoncino,
che nasce come
diminutivo di peperone
Da Axi a peperoncino
Axi era il nome con cui veniva chiamato il peperoncino dagli indigeni conosciuti da Colombo. In Europa poi fu chiamato pepe d’India, pepe cornuto, siliquastro. A partire dal Seicento però il nome si caratterizza in modo autonomo. Già prima di Linneo, che operò nel 700, si afferma il nome scientifico Capsicum. Il poeta satirico di Pistoia Niccolò Forteguerri (nella foto, in un monumento a Pistoia), vissuto fra il 1674 e il 1755, lo chiama per la prima volta peperone. Un termine derivato dal piemontese pevrum e dal ligure-lombardo-emiliano pevron. Il termine peperoncino è assai recente, compare le prime volte sulla fine del 1900 come diminutivo di peperone.
Pellegrino Artusi
non cita mai il
peperoncino nelle sue ricette
La spezia dei poveri
Per l’affermazione gastronomica del peperoncino ai livelli più alti della società italiana ed europea bisogna aspettare gli inizi del Novecento. Nessuna traccia nel celebre libro di Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin del 1825 e nessuna citazione nella Scienza in cucina, il trattato con cui Pellegrino Artusi (nella foto) nel 1891 inventava la cucina nazionale italiana. In quegli anni il peperoncino è diffuso solo presso i ceti popolari meno abbienti, i contadini del sud che lo utilizzano per insaporire i loro piatti poveri, guadagnandosi così l’appellativo di “spezia dei poveri”.
Vincenzo Corrado,
gastronomo alla corte
napoletana, propone
per primo ricette
col peperoncino
Sud, amore a prima vista
Con la cucina povera fu amore a prima vista. Il peperoncino dava sapore a cibi che non ne avevano, conservava la carne quando i frigoriferi non c’erano, con le sue proprietà disinfettanti era di aiuto alle popolazioni dei paesi caldi. Così in poco tempo si diffonde tra le popolazioni povere con regimi alimentari monotoni e carenti di vitamine. Col peperoncino i Messicani insaporivano le tortillas, gli Africani la manioca, gli Asiatici, le regioni meridionali e in special modo la Calabria hanno reso vivace la loro cucina povera e vegetariana. Con la loro fantasia hanno creato autentici “gioielli gastronomici”. Fra il XVIII e il XIX secolo Napoli era capitale europea anche a tavola. Qui hanno lavorato Vincenzo Corrado (1734-1836, nella foto) originario di Oria e Ippolito Cavalcanti (1787-1859) Duca di Buonvicino, gastronomi aperti alle novità della cucina italiana e francese e al tempo stesso attenti alle cucine popolari meridionali. Corrado, nei suoi ricettari, propone il Peperoncino in addobbata, una salsa di vari ingredienti con la quale veniva riempita la testa del capretto. E nel trattato Del cibo pitagorico, ovvero erbaceo (1781), conferisce importanza ai peperoni con otto ricette. Cavalcanti nel suo trattato La cucina teorico pratica, propone peperoni dolci e peperoni piccanti in una Zuppa di soffritto e nel Piatto d’erba stomatico.
La prima presenza
nelle “alte sfere”
è del 1931:
compare in un
menù futurista
Protagonista del futurismo
Per registrare le presenze del peperoncino ai livelli più alti ci vorrà la nascita del Futurismo. Compare infatti nel primo pranzo futurista dell’otto marzo 1931 con Filippo Tommaso Marinetti (nella foto) che inaugura la Taverna Santo palato con un antipasto intuitivo fatto con dei peperoncini verdi all’interno dei quali sono nascosti biglietti con frasi di propaganda futurista. Nel 1983 una ricetta di Spaghetti, aglio, olio e peperoncino è presente nel libro Gentiluomo in cucina di Livio Cerini dei Visconti di Castegnate. Ma siamo già alle affermazioni dei tempi moderni.
La rapida diffusione
in Europa e in
tutti i paesi
del bacino del Mediterraneo
La diffusione in Europa
Oggi il peperoncino è diffuso in tutto il mondo e dopo il sale marino è l’alimento più utilizzato. In Europa la nazione che ne consuma di più è l’Ungheria dove prevale una polvere fatta con una varietà dolce chiamata Paprika. Seguono la Francia e la Spagna dove ci sono gli unici peperoncini con marchio europeo di qualità con marchio europeo di qualità: Peperoncino di Espelette in Francia e Pimiento del piquillo in Spagna. In Italia il peperoncino è molto utilizzato nelle regioni meridionali e soprattutto in Calabria. Discreta l’utilizzazione in Grecia, soprattutto in Macedonia. In Inghilterra sono amati i condimenti speziati come Curry e Chutney.